Sessant’anni fa, il primo luglio 1949, Pio XII decretava la “morte ecclesiastica” per chi aderiva al PCI o anche soltanto per chi gli forniva appoggio politico.
“La Repubblica” del 28 giugno ha dedicato tre articoli all’argomento. Ne pubblichiamo alcuni stralci.
Marco Politi, “La scomunica del comunismo”
Scomunicati, privati della comunione, del matrimonio religioso: questa la sorte decretata da Pio XII per chi aderiva al Partito Comunista o gli dava appoggio politico o soltanto leggeva «libri, riviste, giornali che difendono la dottrina e l’azione comunista». Persino chi diffondeva un volantino incappava nella morte ecclesiastica.
Il decreto, ementao il primo luglio 1949 dal Sant’Uffizio, tecnicamente era una risposta a quattro quesiti. Se sia lecito aderire ai partiti comunisti o sostenerli; se sia lecito pubblicare o diffondere stampa comunista; se i cristiani che abbiano «coscientemente e deliberatamente» compiuta una di queste azioni possano essere «ammessi ai sacramenti»; se i cristiani, che professano e difondono la dottrina comunista, «materialistica e anticristiana», debbano incorrere nella scomunica quali «apostati delle fede cattolica». La conclusione si espresse in tre secchi no e un sì categorico: scomunica totale per i cristiani fautori del Partito comunista, salvo l’abiura e il ritorno all’ovile dei politicamente pentiti.
Così Pio XII, che non aveva mai scomunicato il nazismo e che da Segretario di Stato vaticano aveva spinto i vescovi tedeschi a non ostacolare l’adesione dei cattolici al Partito nazista pur di stringere il concordato con il Reich hitleriano, impugnò l’arma della scomunica contro i comunisti.
[...] Fu un «colpo duro» per i comunisti italiani, ricorda Pietro Ingrao, allora neo-deputato e dirigente all’Unità, perchè interveniva dopo la sconfitta del Fronte popolare alle elezioni politiche del 1948.
[...] Non tutti condivisero la scelta di Pio XII [...] E nache Andreotti, allora sottosegretario, rammenta che il premier De Gasperi «non era favorevole alla decisione, pur considerandola in linea di principio giusta: temeva le polemiche che ne sarebbero derivate alla Chiesa e gli esitivi più negativi che positivi». Il defunto ex Segretario di Stato vaticano Casaroli dirà nelle sue memorie che Pio XII considerava suo «gravissimo dovere» mettere in guardia dalla minaccia cominista, ma ammette che la scomunica «di rado (produsse) conversioni», cioè ripensamenti politici negli elettori e militanti del Pci. [...] Il comunismo italiano non fu sradicato; il dialogo fra comunisti e cattolici andò avanti, proseguirono persino contatti segreti fra esponenti comunisti e rappresentanti del mondo ecclesiastico; Togliatti, segretario del Pci, tenne la barra sul rifiuto dell’anticlericalismo e l’attenzione al cattolicesimo. «Finì che un giorno-racconta Ingrao-una personalità come padre Balducci mi fece fare una predica dal pulpito nella sua chiesa».
Orazio La Rocca intervista Marisa Cinciari Rodano: “Il Papa danneggiò l’Italia cristiana”
Signora Marisa Rodano, cosa provocò nei cattocomunisti la scomunica del ’49?
Fu un grave colpo alla fede dei semplici (lavoratori, braccianti, contadini, donne…) che militavano nel Pci per difendere il lavoro e migliorare le condizioni di vita. [...] Ma è sbagliato parlare di cattocomunismo.
E dov’è l’errore?
Il cattocomunismo, termine peraltro all’epoca non ancora inventato, non è mai esistito. C’erano i cattolici militanti nel Pci come ce ne sono ora nella sinistra: una scelta politica, non ideologica, che non coinvolge la sfera della pratica religiosa e della fede.
Cattolici respinti però dalla casa madre, la Chiesa
Purtroppo. La gerarchia condannava il comunismo «ateo», ma la scomunica colpiva non solo i cattolici che militavano nel Pci o lo votano, ma anche gli iscritti al Psi, alla CGIL. [...] Quella condanna ha contribuito alla secolarizzazione e scristianizzazione della società italiana.
Quando finì l’ostracismo?
Gli effetti durarono per il pontificato di Pio XII, via via attenuandosi nella pratica. Con Giovanni XXIII e col Concilio la ricerca di dialogo si sviluppò.
Si pensi al rapporto tra Palmiro Togliatti e don Giuseppe De Luca, o allo storico scambio di lettere tra Enrico Berlinguer e il vescovo Luigi Bettazzi.
Agostino Paravicini Bagliani, “Quelle torce in fiamme”
La scomunica pone un fedele nell’impossibilità di celebrare la comunione, ossia l’Eucarestia; comporta dunque una separazione temporanea dalla comunità ecclesiale. Il nesso fra scomunica e Eucarestia ha radici storiche antiche. Nel 1215, il concilio Lateranense Iv decretò che i fedeli avevano l’obbligo di fare la comunione una volta all’anno, il giorno di Pasqua; e chi non si fosse comunicato in quel giorno si sarebbe auto-scomunicato ipso facto. La scomunica era allora già da tempo divenuta anche uno strumento di lotta politica. Da quasi due secoli, il papato aveva dato vita a un rito di scomunica contro i “ribelli” della Chiesa che si celebrò fino a metà del Quattrocento tre volte all’ann0 [...]
Nel suo Viaggio in Italia (1580), Montaigne descive così il rito: il Giovedì Santo, il Papa sale in Vaticano sulla Loggia delle benedizioni, assistito dai cardinali e tenendo in mano una torcia. A un suo lato, un canonico di San Pietro legge ad alta voce la bolla in latino che scomunica «una infinita serie di gente, tra gli altri gli Ugonotti [...], e tutti i principi che occupano terre della Chiesa». La bolla viene tradotta in italiano dal cardinale [...]. Il Papa lancia poi la torcia accesa verso il popolo e così fanno due cardinali. Il lancio delle torce provoca confusione tra il popolo che si accapiglia per ottenerne dei pezzi. La torcia è simbolo delle fiamme dell’inferno, al quale rinvia il colore nero del tessuto posto sul parapetti che viene sostituito da un tessuto di altro colore quando il Papa, alla fine del rito, dà la benedizione e promulga l’indulgenza.
In quesgli stessi anni, tra il 1560 e il 1580, ossia nel periodo più forte della Controriforma [...], due grandi pittori, Giorgio Vasari e Federico Zuccari illustrano il rito pontificio di scomunica in due affreschi. Il primo mette in scena una delle più celebri scomuniche medievali, quella lanciata da Papa Gregorio IX (1227-1241) contro l’imeratore Federico II (1227-1239). Il secondo contro il re d’Inghilterra Enrico VIII (1538) da parte di Papa Paolo III Farnese (1534-1549) [...] In ambedue questi affreschi il Papa tiene in mano la torcia accesa che sta per lanciare tra la folla.
Prima che fosse costruita nella seconda metà del Quattrocento, la Loggia delle benedizioni, il rito veniva celebrato sulla scalinata di San Pietro da una tribuna in legno. Il 15 aprile 1452, Pio II scomunicò «ed espulse dalla Chiesa di Cristo» due «fratelli tiranni, uno di Rimini, l’altro di Cesena, Sigismondo e Domenico Malatesta».
[...]Nei secoli precedenti, il rito si svolgeva regolarmente per lo più in Laterano, dove i papi risiedettero fino all’inizio del Trecento [...].
Il rito pontificio di scomunica accompagna dunque un periodo lunghissimo di storia politica del papato, da quel lontano Undicesimo secolo in cui il papato medievale si trasformò sotto la spinta della Riforma gregoriana e della lotta per la «libertà della Chiesa», fino al tardo Settecento. Soltanto allora, negli anni 1770, dopo un secolo di forti polemiche proprio nei confronti della legittimità della scomunica politica (Thomas Hobbes), il papato abbandonò il rito e la Loggia vaticana fu usata da allora in poi – fino ai nostri giorni – soltanto per le benedizioni papali, oltre che per l’annuncio di un nuovo papa.
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